S. Maria conserva un prezioso ciclo di affreschi quattrocenteschi, giudicato uno dei più rilevanti nel panorama pittorico locale.

L’occhio del visitatore, al momento dell’ingresso, è colpito subito dalla spettacolare volta del presbiterio, dove campeggia un grande affresco di 100 metri quadri, diviso in 4 spicchi dalle nervature della volta, unite al centro. Vi sono rappresentati, con profondità ed eleganza, i 4 Evangelisti, assisi in troni di gusto spiccatamente gotico: S. Matteo con l’angelo; S. Marco con il leone alato, S. Luca con il vitello alato, S. Giovanni accanto all’ aquila con l’aureola. In ogni spicchio della volta compare un leone rampante su fondo rosso: lo stemma araldico dei Maggi di Sale, i committenti dell’opera. Essa viene datata al 1456, anno in cui Tibaldo Maggi ottiene il beneficio della Cappella Maggiore. Famiglia strettamente legata a Pavia, ove alcuni esponenti erano presenti già nel 1284, può essere considerata come la grande benefattrice della chiesa.

La critica non ha ancora dato un nome certo al pittore che ha realizzato questo affresco di qualità altissima, sinora indicato come “maestro dei Maggi”: da A. Malerba viene accostato a Franceschino Boxilio senior, castelnovese, attivo tra il 1450 e il 1481, capostipite di una famiglia di pittori che ha dato luogo ad una tradizione figurativa importante, la scuola dertonina. Lo stile degli affreschi dell’area presbiteriale è comunque quello ancora imperante a Pavia ai tempi di Galeazzo Maria, che aveva chiamato per la decorazione del castello di Pavia Bonifacio Bembo, uno degli ultimi esponenti della pittura tardo gotica, alla quale il nostro pittore appare fortemente legato, forse ispirato anche da Michelino da Besozzo, figura molto importante fra Trecento e Quattrocento nell’arte pavese e lombarda dove aveva lasciato una impronta forte.
Sempre nell’area presbiteriale, nel sottarco dell’arco trionfale, sono rappresentate dodici figure di patriarchi e profeti: ciascuno porta il suo cartiglio in cui si può leggere il nome: singolare e curiosa appare la figura di Abacuc, con occhiali a pince nez, particolare mai rilevato negli affreschi dell’epoca. Sulla parete di fondo invece è raffigurata l’Annunciazione: l’Arcangelo Gabriele e la Vergine sono posti sotto edicole diverse fra loro. Infine, sulla parete sinistra, entro una bellissima cornice a motivi floreali, una coppia di angeli turibolanti ed un’altra di angeli inginocchiati, in atto di suonare la tromba del giudizio: facevano in origine cortina alla tomba di Jacobino Maggi, distrutta purtroppo in epoca napoleonica. L’attuale colore del fondo, verde malachite, risulta probabilmente per alterazione dell’azzurrite originale. Bellissime le ali degli angeli, elaboratissime e variopinte.

Altri affreschi si susseguono sulla parete della navata sinistra. Innanzi tutto un ciclo dedicato alla morte del Cristo, ove è riscontrabile la mano di pittori diversi, probabilmente ignoti pittori locali della prima metà del XV secolo. A sinistra della finestra ecco la scena della Deposizione, secondo un modello tradizionale del compianto sul Cristo morto: sono riconoscibili la Vergine, dietro di lei S. Giovanni, S. Giuseppe d’Arimatea, Nicodemo, la Maddalena con le Pie Donne. A destra della finestra compare un frammento di Crocifissione di cui restano le figure dolenti della Vergine e di S. Giovanni. Al centro, ai piedi della Croce, il teschio di Adamo, secondo un’iconografia diffusa nella prima metà del secolo in area padana.
Al di sotto, appare invece un affresco più tardo ma di livello qualitativo molto elevato: rappresenta la Vergine con il Bambino in visita a S. Elisabetta con S. Giovannino. Si può situare tra gli ultimi anni del Quattrocento e i primi del Cinquecento ed apre un complesso ed intricato problema attributivo. L’uso perfetto della prospettiva, l’iconografia denunciano infatti chiari influssi nordici e fiamminghi, per ora inspiegabili a Sale: si può ipotizzare un autore che aveva avuto relazioni significative con Genova o Milano dove sono attestate presenze di pittori fiamminghi. Più in alto compare lo stemma araldico dei Ricci, probabili committenti dell’opera, poiché era qui ubicato un altare dedicato a S. Elisabetta, di cui i Ricci avevano il patronato, già menzionato in documenti del 1471. Infine, contiguo a questo affresco, compare un frammento di un Santo francescano, forse S. Bonaventura.
Sono molto interessanti, e di buon livello, i due Santi affrescati nell’intradosso della finestra: si tratta di un S. Sebastiano che qui appare, contrariamente all’iconografia più diffusa che lo vuole nudo, nelle vesti di cavaliere, con le frecce strette nella mano, secondo l’uso nordico e lombardo. Di fronte, un altro Santo (forse S. Bovo) anch’egli in veste di cavaliere. Gli abiti sono quelli in uso nelle corti padane in quel torno di tempo.
Si giunge infine alla Cappella terminale della navata, oggi dedicata alla Madonna della Guardia e anticamente a S. Nicola. Ci troviamo di fronte a vari affreschi, purtroppo alcuni molto frammentari, raffiguranti santi a cui vengono dedicate forme di devozione particolare dalle comunità, dalle corporazioni artigiane, da singole importanti famiglie, secondo un uso che si era andato affermando nel Quattrocento.
Sulla parte interna del pilastro a sinistra, ecco un frammento di S. Eligio, protettore degli orafi, con gli strumenti di lavoro; sul pilastro di destra invece troviamo una frammentaria figura di S. Stefano con i sassi sulla spalla. All’esterno del pilastro è raffigurato S. Francesco su fondo rosso. Questo affresco appare di notevole qualità e riconducibile ai modelli tardo gotici di cui si è detto, molto prossimi a quelli di Manfredino Boxilio. Accanto compare il frammento di un altro Santo, forse un S. Rocco. A fianco compaiono S. Agata con la palma del martirio ed un S. Cristoforo dalle fattezze piuttosto grossolane. Questi ultimi sono attribuibili ad un pittore locale, di scuola tortonese del tardo Quattrocento.
Sulla parete destra interna della cappella compare un affresco di più ampio respiro, purtroppo con ampie lacune: La Madonna con il Bambino tra i Santi Sebastiano e Antonio Abate e committenti raffigurati più in basso, un chierico e due oranti con manto di ermellino. L’opera è datata 1452. La cornice floreale ne ricorda altre analoghe a Cassine e le figure richiamano quelle presenti in affreschi della chiesa di Rivalta. Siamo comunque ancora in clima tardo gotico: i richiami alla cultura locale di metà quattrocento sono molteplici, a cominciare dall’abbigliamento.

Infine menzioniamo due affreschi che compaiono sulle colonne: sulla terza colonna della navata sinistra è raffigurata una Madonna con il Bambino putroppo molto ridipinta. Nei bordi che la contornano è ancora visibile il nome di Anselmo de’ Calcaprinis fondatore nel 1489 di una cappellania intitolata ai Santi Giacomo e Filippo, per cui è probabile che l’affresco risalga a quegli anni.
Sull’ultima colonna della navata destra ecco invece una Madonna con Bambino e angeli reggicortina databile intorno agli ultimi anni del XV secolo e inizio XVI, attribuibile ad un pittore locale.
Foto: Luigi Bloise